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IL GIORNO CHE AVREI VOLUTO VIVERE

Con Gandhi nella gioia della vittoria

di Franco La Cecla

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15 agosto 2009

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Per non parlare della sua testimonianza di vita: uno scrittore di origine e cultura musulmana, imbevuto di Corano che si permette di "secolarizzare" l'Islam e per questo viene colpito dalla più pericolosa delle fatwe. Solo un'indiano, imbevuto della grandissima cultura dell'Oriente ma anche dell'ironia di Bollywood (e i versetti satanici sono puro Bollywood!) lo poteva fare: un indiano nato a mezzanotte del 1947.
L'India dà speranza: molto più della Cina, che non è certamente una democrazia e che soprattutto non è un paese pluralista, ma è ancora il Celeste Impero, staccato dal mondo e superiore ad esso. L'India invece è stata sconfitta dal colonialismo e poi l'ha sconfitto e per questo l'inglese come lingua e civiltà le è servito, per questo ha sviluppato un'"interfaccia" con il resto del mondo che le consente di comunicare, di raccontare la propria differenza, di avere la più grande letteratura in inglese del mondo contemporaneo.
Vorrei essere nato in India per non essere italiano, parte di un paese che è disposto a diventare servile nei confronti della Cina, ma che non si accorge da ben sei governi che la presidente (a tutti gli effetti) della più grande democrazia del mondo non è di origine italiana, è addirittura italiana. Ma in un paese come il nostro, che è razzista perché disprezza i propri figli andati all'estero, allora Sonia Gandhi altro non è che una poveraccia figlia di un piccolo industriale della periferia di Torino.
Vorrei essere nato in quella mezzanotte per essere oggi a combattere al fianco di coloro che da indiani si preoccupano delle derive fondamentaliste dell'induismo, della devastazione ambientale, delle mire imperialiste del proprio paese. Ma lo fanno perché questo è un paese nuovo davvero, un paese che nell'orizzonte vecchio della politica mondiale rappresenta un luogo differente, complesso, ricco di futuro, un luogo complicato certo, ma dove non dimentichiamoci che accanto a Gandhi la notte dell'indipendenza c'era il grande Ambedkar, il rappresentante dei dalit, dei paria, paria lui stesso, anche se diplomato in una prestigiosa università inglese.
E anche questa lotta per l'abolizione delle caste è andata avanti, continua a essere una delle anime del paese. M'illudo? Sono ottimista perché l'India è lontana? Forse, ma se Amartya Sen, Salman Rushdie e lo stesso V.S. Naipaul nutrono l'idea che l'India è un paese che potrebbe farcela a diventare una migliore e più giusta democrazia, se pensano che potrebbe avere un ruolo determinante per gli equilibri in Oriente e in Medio Oriente, e per evitare il tanto stupidamente strombazzato scontro di civiltà, beh allora, con tutta la coscienza che nasce per aver visto le bidonville di Calcutta, di Mumbay e di Delhi, beh allora viene anche a me da sperare. Soprattutto perché questo è un paese in cui la cultura intesa come radice profondissima dell'identità ha un peso enorme nella vita di tutti, dalla povera gente alla classe media, ai ricchi zoroastriani al potere come gli industriali Tata.
Sì, mi sarebbe piaciuto essere inondato dalle polveri di colore che la gente si lancia addosso nelle grandi feste indiane, nelle "holi", come accadde quella notte per fare festa e dichiarare l'India il paese del futuro.

15 agosto 2009
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